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Libri di Angela

mercoledì 24 ottobre 2018

La nostra lingua


L'altro giorno mia sorella ha richiamato la mia attenzione su un post da lei visto su un gruppo facebook di scrittori e aspiranti tali.
In sintesi, un utente postava un breve stralcio (4/5 righe) di un suo scritto, chiedendo al gruppo pareri spassionati sul suo stile.
Lo stralcio era questo:

Gli lesse il suo lavoro. Evidentemente per un gentile riguardo, qualche parola, qualche frase di Carlo era conservata, ma parole e frasi tanto poco importanti ch'egli non seppe essergliene grato, precisamente quelle parti di cui più gli sarebbe importato non avevano trovato grazia.
La maggior parte degli intervenuti nei commenti, che io non riporterò, hanno trovato lo stralcio farraginoso e di difficile comprensione. Alcuni hanno sospettato che fosse stato tradotto, forse con Google traduttore, da un testo inglese, altri hanno notato una contraddizione in termini, quasi tutti hanno trovato il testo di difficile comprensione.

L'estratto di cui sopra è tratto da "Una vita" di Italo Svevo.

Come si è evoluta la diatriba sul gruppo, trovo sia un argomento poco interessante e credo anche che la maggior parte di voi l'abbiano immaginata.
Ciò che mi ha fatto riflettere è stata la reazione degli utenti.

Italo Svevo si studia sui libri di scuola, il pregio della sua letteratura è cosa acclarata, eppure un suo scritto, ai giorni nostri, risulta essere farraginoso, contraddittorio e incomprensibile.



Di qui il mio pensiero alla nostra amata lingua. Davvero siamo destinati ad andare verso una semplificazione della scrittura, niente estro, niente complessità, niente frasi che superino le tre parole? Davvero soggetto, predicato e complemento oggetto saranno più che sufficienti per dire tutto del nostro mondo?

Qualche tempo fa lessi un articolo in cui un maestro elementare si era preso la briga di confrontare i temi dei propri alunni di quinta elementare con quelli di loro coetanei del 1950. Le conclusioni a cui è giunto sono state drammatiche. Un bambino di dieci anni, sessant'anni fa, aveva una proprietà di linguaggio e una capacità espressiva di gran lunga superiore a un suo coetaneo di oggi.
Immaginate di chiedere a un ragazzino o a una ragazzina di 12/13 anni di scrivere un diario. Immaginate di confrontarlo con quello di Anna Frank (per sceglierne uno conosciuto dai più). Cosa vi aspettereste di notare?

In un Paese dove i tempi verbali stanno scomparendo, le sfumature svaniscono, la lingua tende a un'economicità che la snellisce, strappandole tutto ciò che risulta superfluo, le parole più complicate spariscono e tutti i neologismi verbali finiscono in "are", il nostro internet si riempie di professori di italiano, di docenti della scrittura.

Con il nostro credere di essere arrivati, non finiremo per buttar via la parte più bella della nostra lingua? Inseguendo l'immediatezza, senza fronzoli, non perderemo l'arte della decorazione?

Ammetto di aver paura dei neuroni che si spengono, dell'incapacità di sforzarsi nel comprendere qualcosa solo perché risulta più complicato del previsto. Continuo a credere che l'ignoranza generi mostri e che l'incapacità di comprensione di un testo ci renda anche incapaci di comprendere la complessità del mondo.

Se una massa ignorante, che non fa domande, che crede a tutto, è di certo più facile da gestire, un'aggregazione di persone, con le loro individualità, i loro bagagli, le loro conoscenze, le loro diversità, è l'antidoto.
Coltiviamo la cultura, prendiamoci cura della nostra lingua, non rendiamola più facile, non gioverebbe a noi come non gioverebbe ai nostri figli. Desideriamo per quelli che verranno dopo di noi la stessa complessità che hanno avuto i nostri padri, perché è questa stessa complessità che ci arricchisce, che regala varietà a un mondo che tende all'omologazione.

Leggete e fate leggere i vostri figli, non perché è un compito per la scuola, ma per allenare il loro cervello alla comprensione che si trasformerà in empatia per il domani.